Che cos’è il Jazz per me? Un modo incredibilmente vivo di immaginare il domani.

Che cos’è il Jazz per me? Un modo incredibilmente vivo di immaginare il domani.

Intervista al sassofonista Fabio Tiralongo, a margine dell’uscita di Raila (ed. Jazzy Records), suo primo album da leader.

Incontriamo Fabio Tiralongo, sassofonista e compositore Jazz di cui proprio in questi giorni l’etichetta Jazzy Records pubblica RAILA, suo primo album da leader. In questo lavoro è coadiuvato al pianoforte da Giovanni Mazzarino, uno dei suoi maestri e mentori,  e da un quintetto formato da alcuni fra i più talentuosi musicisti della nuova scena Jazz siciliana: Riccardo Grosso (contrabbasso), Alessandro Borgia (batteria), Andrea Iurianello (sax baritono) e Alessandro Presti (tromba). RAILA è l’antico nome di Avola, la città “esagonale” dove Tiralongo è nato e cresciuto muovendo i primi passi di musicista nella banda, una terra ricca di storia, bellezze e contrasti che ha ispirato le composizioni di questo lavoro. I sei brani originali più uno standard (It could happen to you) tracciano un territorio  in cui poliedricità ritmica e stilistica riflettono una musicalità fresca e ispirata, rispettosa di un’estetica che pone l’eleganza, il senso della frase e la costruzione del dialogo fra i suoi asset principali. Il CD  è particolarmente curato anche per quanto riguarda la veste grafica e la cartotecnica, che incorniciano gli splendidi ritratti del fotografo Paolo Galletta, artista a cui Jazzy Records affida da anni il racconto dei suoi progetti artistici più importanti.

Fabio Tiralongo in studio, durante la registrazione dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Il tuo primo lavoro discografico da leader, dal titolo “RAILA” (Jazzy Records, 2022), è un tributo alla tua città d’origine, Avola. Ci racconti il perché di questa dedica e come hai sviluppato il concept musicale del disco?

Questo disco parla di un percorso di vita nato e sviluppatosi in musica. Ho voluto omaggiare la mia terra e le molteplici realtà che la compongono, che hanno contribuito alla mia formazione e a cui devo molto. Credo che ricordare e raccontare le proprie radici sia fondamentale per la costruzione di un percorso artistico solido. La mia terra, e le persone che qui ho incontrato, mi ha fornito e fornisce le basi che sostengono e rafforzano la mia identità umana e musicale. E per quanto le composizioni presenti in questo disco nascano dal bisogno di sublimare urgenze personali, in ciascuna di esse sono presenti riferimenti e tracce di luoghi e cammini. Ispirato tanto dai miti di sempre, come Coltrane, quanto dalla musica popolare, mediterranea e celtica, e dal vissuto, ho quindi composto sei tracce che raccontano un percorso di vita. La settima, invece, arrangiamento di “It could happen to you”, vuole essere uno stimolo alla contaminazione: questa improvvisazione libera, infatti, riconosce ciò che è stato e si ‘lancia’ verso il domani che verrà.

Parliamo delle tue composizioni: che cosa ti ispira, quali sono i tuoi riferimenti musicali e culturali in generale? In che modo lavori alla tua musica?

Le mie composizioni sono legate alla realtà. Parlano di ciò che vivo e conosco. Sono ‘scatti’ del quotidiano, personale o altrui, tradotti in musica. L’aver vissuto a contatto con la natura, ad esempio, mi ha permesso di scrivere Greenwood: le sensazioni provate hanno suscitato in me l’urgenza di tradurre in musica l’impressione del momento. Per cui, potrei tranquillamente annoverare l’impressionismo tra i miei riferimenti principali. Vorrei poi citare Coltrane, Gerry Mulligan e Chet Baker – che mi hanno fatto appassionare al Jazz, galeotto l’album “Pianoless Quartet”. Ma i generi che apprezzo e da cui traggo ispirazione sono vari, così come i bisogni sublimanti che mi conducono alla pagina bianca. Non potrò mai dimenticare l’apporto dato dalle operette ascoltate da bambino con mio nonno o l’aver suonato con la banda musicale del mio paese, una palestra insostituibile di apprendimento e ascolto.

L’album vede una formazione ampia che consente interessanti soluzioni a livello timbrico, espressivo e di arrangiamento. Oltre a un featuring importante come Giovanni Mazzarino al pianoforte, hai convocato giovani musicisti tutti siciliani. In che modo hai scelto i tuoi compagni di viaggio?

La visione comune. La visione comune di suono e la personale stima verso gli artisti che hanno collaborato al disco hanno portato alla formazione che ascolterete. Inoltre, provenendo da un ambiente orchestrale, per me è naturale circondarmi di persone che permettono una composizione ampia e articolata – fondamentale per comporre brani con molteplici colori. Credo che questo gruppo rappresenti il ‘meglio’ dal punto di vista umano e artistico.

Il feat di Giovanni Mazzarino, poi, è stato per me un immenso onore. E non solo per la sua grandezza musicale. Per me, Mazzarino rappresenta un simbolo forte del Jazz, siciliano e non: ha girato il mondo e, nonostante le infinite sollecitazioni, ha comunque scelto di dare ascolto alle proprie origini culturali e musicali.

Giovanni Mazzarino e Fabio Tiralongo in studio, durante la registrazione dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Che cosa significa per te essere siciliano? In che modo influisce sul tuo modo di fare musica?

Credo che la sicilianità sia un modo d’essere e vivere e guardare il mondo. Per me significa coniugare i tempi e le culture tutte. Accogliere il vecchio e il nuovo con sguardo aperto e sincero. Lasciarsi influenzare, contaminare dalle esperienze altre e dai mondi altri. Credo che la sicilianità sia un dono e che maturi in noi e con noi.

Nella tua biografia scopriamo che hai partecipato a 13 album come sideman e hai all’attivo importanti collaborazioni: Andy Sheppard, Giovanni Mazzarino, Javier Girotto, Paolo Silvestri, Mario Biondi, Fabrizio Bosso, Billy Cobham, Paolo Fresu, Daniela Spalletta, Rita Botto, Mannarino, Roy Paci. Raccontaci qualcosa di queste esperienze.

È così. Ho avuto la fortuna di poter collaborare con tanti grandi artisti, e alcune collaborazioni sono avvenute grazie all’Orchestra Nazionale Jazz Italiana. Queste esperienze sono state degli incredibili viaggi tra i generi che hanno contribuito enormemente alla mia formazione. E ogni artista con cui ho lavorato mi ha lasciato un’impronta di sé, una traccia umana e professionale importantissima – per cui non smetterò mai di essere grato.

A dispetto della tua giovane età, hai già sviluppato una solida esperienza anche come didatta. Che cosa pensi dei bambini e dei ragazzi che si affacciano allo studio e della musica oggi? Noti delle differenze rispetto alla tua generazione in termini di approccio allo studio, di aspettative?

Da qualche anno ho l’occasione di insegnare a bambini e ragazzi di varie realtà siciliane. Ne sento fortemente la responsabilità e credo sia un’attività necessaria, in particolare per i tempi in cui viviamo. Sempre meno ragazzi, per varie ragioni, studiano o possono studiare musica per cui è importante cogliere le occasioni esistenti per stimolare l’interesse, la curiosità dei più giovani e aiutarli a trovare il loro suono. Ci vorrebbe più musica per le strade, più generi di “nicchia” per i quartieri. Credo fermamente che se il quotidiano fosse inondato di musica, se le persone avessero la possibilità di avere nelle loro vite strumenti musicali e arte, il peso della musica nelle loro esistenze e nel nostro Paese cambierebbe radicalmente – e ne potremmo beneficiare tutti.

Il tuo disco esce con un’etichetta particolare, la Jazzy Records, nota per pubblicare solo alcuni progetti affini a un “certo” modo di intendere la musica e l’arte. Com’è nata questa scelta?

Creatività, emozione, dedizione ed entusiasmo sono parole chiave che abbiamo in comune. Il Jazz non è semplicemente un genere musicale, è un modo di vivere, di intendere il mondo. Per questo sono molto felice che il mio disco sia tra le nuove proposte della Jazzy Records, che ho sempre ammirato e stimato. L’etichetta vive il Jazz ricordando le proprie origini ed è quel che cerco di fare anche io. Non poteva esserci scelta diversa o migliore.

Che cosa significa per te la parola Jazz, oggi?

Significa più cose. Cura e conoscenza, ad esempio, e avere gli strumenti per esprimersi al meglio. Ma credo anche che il Jazz sia condivisione, contaminazione, qualcosa cui tendere, che rumorosamente crea armonia e unione – di corpi, sentimento, tradizione e aspirazioni. Un modo di esistere, essere, vedere e vedersi. Un modo incredibilmente vivo di immaginare il domani.

RAILA – Fabio Tiralongo feat Giovanni Mazzarino

Edizioni ©Jazzy Records

La copertina dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Fabio Tiralongo, sax tenore e soprano, composizioni
Giovanni Mazzarino, pianoforte
Riccardo Grosso, contrabbasso
Alessandro Borgia, batteria
Andrea Iurianello, sax baritono
Alessandro Presti, tromba
MITO SETTEMBREMUSICA 2021: “FUTURI”

MITO SETTEMBREMUSICA 2021: “FUTURI”

Diversità e continuità in un programma ambizioso: tra gli ospiti, i pianisti Ivo Pogorelich, Brad Mehldau, Gabriela Montero, Michail Lifits; il violinista Sergej Krylov; il tenore Ian Bostridge; la fisarmonicista Ksenija Sidorova 7 prime esecuzioni assolute, tra cui una commissione del Festival 12 prime italiane e più di 60 compositori viventi coinvolti Nel giorno dei cori, tredici concerti a ingresso gratuito Continua la collaborazione con Rai Radio3, che trasmette molti concerti in diretta o differita, e Rai Cultura, che realizza un documentario sul festival Milano – Torino, dall’8 al 26 settembre

Brad Meldhau – Ph. ©David Bazemore

Comunicato stampa/
Si intitola “Futuri” ed è dedicata a Fiorenzo Alfieri, Assessore alla Cultura di Torino recentemente scomparso, la quindicesima edizione del Festival MITO SettembreMusica, che si svolgerà a Milano e a Torino dall’8 al 26 settembre 2021, con 126 concerti nelle due città. Un hashtag eloquente, #soloamito, per identificare un cartellone articolato e vario ma al tempo stesso compatto e coerente, che fonde e mette in comunicazione fra loro proposte diverse per ascoltatori diversi, nomi illustri e realtà spontanee, capolavori consacrati e proposte inedite, per i grandi e per i piccoli, per il pubblico più preparato e per quello meno abituato alla musica. Tutti programmi ideati apposta ed esclusivamente per un festival unico, declinando il tema che li riunisce in uno sforzo creativo eccezionale, realizzato grazie alla stretta collaborazione con gli artisti coinvolti, pur nel costante rispetto dei protocolli sanitari. Anche quest’anno non mancano le introduzioni ai concerti, curate da Stefano Catucci, Enrico Correggia, Luigi Marzola, Carlo Pavese e Gaia Varon.
«La pandemia ci ha costretti a concentrarci sul presente – dice il Direttore artistico Nicola Campogrande – perché per mesi il nostro futuro è stato ipotecato, interrotto. Ma la musica classica attraversa il tempo e, per sua natura, riunisce l’eredità del passato e il respiro del presente, consegnandoli al futuro. Ecco quindi i “Futuri” di MITO SettembreMusica: sono quelli con i quali i compositori hanno sempre avuto a che fare, scrivendo musica perfetta per la loro epoca, che poi passava in eredità ai posteri, oppure componendo per orecchie che ancora non esistevano. Sempre, in ogni caso, sfidando il tempo».

Appuntamenti in orari diversi e a prezzi contenuti

Nell’arco dell’intera giornata, da quelli serali in sedi prestigiose come il Teatro dal Verme, l’Auditorium Rai “Arturo Toscanini”, l’Auditorium “Giovanni Agnelli” del Lingotto, a quelli diurni, per arrivare a estendersi nei luoghi decentrati delle due città. «Mi piace sottolineare la dimensione sociale che da sempre caratterizza il festival – dice la Presidente Anna Gastel – dall’attenzione verso i più piccoli, i nostri spettatori di domani, con spettacoli a loro dedicati nei fine settimana, all’accessibilità del prezzo dei biglietti, veramente per tutti, fino alla scelta di decentrare in teatri di quartiere molti concerti con interpreti di prima grandezza, così da pervadere tutta la città con la consueta “festa della musica”». Prezzi quindi ancora una volta molto contenuti: quelli per i concerti serali vanno dai 10 ai 35 euro (ma chi è nato dal 2007 in poi paga solo 5 euro), quelli per i concerti pomeridiani e per i bambini 5 euro, quelli per i concerti diffusi nel territorio metropolitano sono proposti a 3 euro, non mancano poi i concerti gratuiti.

Simmetrie anche nella distribuzione degli eventi nelle due città

La serata d’apertura è in programma al Teatro Dal Verme di Milano mercoledì 8 settembre alle 21, e all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino giovedì 9 settembre. Protagonisti l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il suo Direttore emerito Fabio Luisi, con il pianista svizzero Francesco Piemontesi in veste di solista. In programma la prima esecuzione italiana di subito con forza della compositrice coreana Unsuk Chin, il Concerto n. 25 in do maggiore KV 503 di Mozart e la Sinfonia n. 8 di Beethoven. E se l’inaugurazione, a Milano, è affidata a una grande orchestra basata a Torino, la chiusura è in programma a Torino con una grande orchestra milanese: domenica 26 settembre alle 21, all’Auditorium del Lingotto, suona la Filarmonica della Scala guidata dal suo Direttore principale Riccardo Chailly. In programma due altissime pagine romantiche: la Sinfonia “Italiana” di Mendelssohn e la Sinfonia n. 4 in re minore di Schumann. Ma lo scambio tra le realtà musicali cittadine non finisce qui, perché a Milano l’ultimo concerto serale, venerdì 24 settembre al Teatro Dal Verme, vede protagonista l’Orchestra del Teatro Regio di Torino diretta da Pablo Heras-Casado. In programma la prima esecuzione italiana di Icarus di Lera Auerbach e la Prima sinfonia di Brahms. Fabio Luisi, Riccardo Chailly e Pablo Heras-Casado sono solo alcuni dei grandi nomi presenti in cartellone: a loro si affiancano un tenore unico per sensibilità e cultura come l’inglese Ian Bostridge, in un duo imprevedibile con il pianista jazz Brad Mehldau che ha composto per lui una raccolta di Lieder sul tema del desiderio, della passione e dell’amore (9 settembre a Milano e 10 settembre a Torino); la leggenda del pianoforte Ivo Pogorelich (14 settembre a Milano e 15 settembre a Torino); un altro duo insolito è quello che vede la fisarmonicista Ksenija Sidorova tornare a MITO con la giovane violoncellista Camille Thomas (13 settembre a Milano e 14 settembre a Torino); un’altra violoncellista giovane ma già celebre in campo internazionale, Miriam Prandi, in duo con Alexander Romanovsky, vincitore del concorso “Busoni” che lo lanciò sulla ribalta internazionale vent’anni fa (16 settembre a Milano e 17 settembre a Torino); la pianista Gabriela Montero, impegnata con le sue fantasmagoriche improvvisazioni su temi proposti dal pubblico (12 settembre a Milano e 13 settembre a Torino); il violinista Sergej Krylov, insieme al pianista Michail Lifits (22 settembre a Milano e 23 settembre a Torino). Tra i complessi ospiti, la Tallinn Chamber Orchestra e l’Estonian Philharmonic Chamber Choir, diretti da Tõnu Kaljuste, per una sera che racchiude atmosfere baltiche e suggestioni italiane, grazie alla prima esecuzione nel nostro Paese di Sei la luce e il mattino di Tõnu Kõrvits, su testi di Cesare Pavese (18 settembre a Torino e 19 settembre a Milano). Molti artisti famosi, ma anche tanti giovani musicisti che si stanno guadagnando l’attenzione del pubblico, e talenti da scoprire: l’Albion Quartet dall’Inghilterra, il Notos Quartett dalla Germania, il Meta4 Quartet dalla Finlandia, il Collegium 1704 dalla Repubblica Ceca, i pianisti Filippo Gorini dall’Italia, e dall’Ucraina Dmytro Choni.

Indagine nella contemporaneità

La prima italiana di Unsuk Chin, sulla quale si alza il sipario del Festival, non è certo un caso isolato: MITO prosegue la sua tradizionale indagine nella contemporaneità offrendo sette prime esecuzioni assolute, di cui una su commissione dello stesso Festival, dodici prime italiane e più di sessanta opere di compositori viventi. Di particolare rilievo la commissione di MITO a David Del Puerto, che ha realizzato una nuova orchestrazione degli ultimi numeri del Requiem lasciato incompiuto da Mozart. Il cinquantasettenne compositore spagnolo ha utilizzato gli strumenti dell’orchestra barocca, aggiungendovi arpa, fisarmonica, chitarra e basso elettrico. Il concerto è in programma il 22 settembre a Torino nella Chiesa di San Filippo Neri, e il 23 settembre a Milano al Teatro Dal Verme, con l’orchestra e l’ensemble vocale “laBarocca” diretti da Ruben Jais. Alle istituzioni ufficiali si alternano le iniziative spontanee e più popolari. Torna il giorno dei cori che accoglie formazioni delle due città, con ben tredici concerti a ingresso gratuito in programma sabato 11 a Milano e domenica 12 settembre a Torino. Culmine della giornata la partecipazione del Coro Giovanile Italiano diretto da Petra Grassi. E una novità fortemente simbolica è la fusione fra due orchestre di fiati: il 18 settembre a Torino e il 19 settembre a Milano si riuniscono elementi di due diverse bande, l’Antica Musica del Corpo dei Pompieri di Torino e la Civica Orchestra di fiati di Milano, per un appuntamento che vede in programma anche l’esecuzione della versione originale della Rhapsody in blue di Gershwin per pianoforte e orchestra di fiati. Tornano anche i concerti per i più piccoli, che nei fine settimana propongono occasioni per scoprire modi poco consueti di fare musica e teatro musicale. In prima italiana andranno in scena Solletico, l’11 a Torino e il 12 a Milano, proposto dall’Oorkan Amsterdam; Futurottole, il 18 a Torino e il 19 a Milano, con i Piccoli cantori di Torino e l’ensemble Brù; Shhht, il 18 a Milano e il 19 a Torino, con il lussemburghese Quatuor beat; e Pachua, il 25 a Milano e il 26 a Torino, con l’Orchestra i Piccoli Pomeriggi Musicali ed Elio come voce recitante. A Torino è in preparazione la rassegna parallela MITO per la città, momenti musicali dal vivo in luoghi non canonici e rivolti in particolare a chi non può raggiungere le sedi di concerto, preziosi in particolar modo dopo il periodo della pandemia.

Riccardo Chailly – Ph. ©Silvia Lelli

MITO SettembreMusica (Milano – Torino, dall’8 al 26 settembre), che gode del contributo del Ministero per i beni e le attività culturali, è realizzato da Fondazione per la Cultura Torino e I Pomeriggi Musicali di Milano, grazie all’impegno economico delle due Città, all’indispensabile partnership con Intesa Sanpaolo – attuata sin dalla prima edizione –, al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo e degli sponsor Iren, Pirelli, Fondazione Fiera Milano e al contributo di Fondazione CRT. «Con grande piacere confermiamo il nostro sostegno a questa importante iniziativa, con la quale condividiamo l’obiettivo di rendere la musica un patrimonio universale, accessibile a tutti e in particolare ai giovani, che coinvolge le città di Milano e Torino. MITO SettembreMusica è in piena sintonia con il tradizionale impegno di Intesa Sanpaolo a sostegno dell’arte, della musica e della cultura, leve fondamentali per attivare nuovi processi di sviluppo civile, sociale ed economico, soprattutto in questo periodo in cui l’obiettivo è quello di voltare pagina per intraprendere la direzione della ripartenza», ha commentato Fabrizio Paschina, Executive Director Comunicazione e Immagine Intesa Sanpaolo, in occasione della conferenza stampa MITO SettembreMusica di cui la Banca è Partner anche per l’edizione 2021, presentata oggi. La Rai si conferma Media Partner del festival con Rai Cultura, Rai5 e Rai Radio3. È rinnovata la strategica Media Partnership con il quotidiano La Stampa e con la Radiotelevisione svizzera – Rete Due.

Foto in evidenza: Filarmonica della Scala – Riccardo Chailly – Ph. @Giorgio Gori

Francesca Bertazzo Hart Quartet “JAZZ LIGHTS”

Francesca Bertazzo Hart Quartet “JAZZ LIGHTS”

Torna a Crema mercoledì 7 luglio 2021 sul palco più importante della città, il CremArena, la cantante e chitarrista Francesca Bertazzo Hart con un concerto dal nome Jazz Lights. L’evento è inserito nel palinsesto degli eventi culturali estivi e realizzato in collaborazione con il Crema Jazz Art Festival.

Francesca Bertazzo Hart

Davvero unica e originale questa formazione che vede la vocalist protagonista anche di quasi tutti gli arrangiamenti e dell’accompagnamento armonico alla chitarra, con una scelta di repertorio che parte dal mainstream e approda al jazz moderno passando per il be-bop e l’hard-bop. In una sapiente miscela fra standards noti e poco noti e brani originali autografi, Francesca Bertazzo Hart conduce il suo quartetto, plasmandolo a volte in mainstream band al servizio della sua splendida voce profondamente jazz; a volte in un più energico e ardente gruppo hardbop e bebop in cui la sua vocalità, attraverso la tecnica dello scat singing, si manifesta in modo più strumentistico.

“Posso contare sulle dita di una mano le cantanti jazz viventi in grado di cantare abilmente sugli accordi e Francesca Bertazzo e’ in cima a questa ristretta lista… Francesca e’ una cantante completa:è dotata di un meraviglioso suono, swinga accanitamente, racconta ogni volta una commuovente storia, è maestra dell’improvvisazione, scrive i suoi arrangiamenti, compone brani interessanti ed esclusivi ed espertamente accompagna se stessa con la chitarra con la quale anche improvvisa. Ha davvero fatto il suo dovere e il risultato è che riesce a fare tutto! Francesca Bertazzo è un’autentica originale!” (Amy London) 

Francesca Bertazzo Hart, voce e chitarra

Nel 1997 si è diplomata in canto jazz al C.P.M. di Milano con il massimo dei voti più nota di merito sotto la guida di Tiziana Ghiglioni e Francesca Olivieri. Ha partecipato a diversi seminari studiando con: Mark Murphy, Bob Stoloff (Berklee School of Music), Jay Clayton, Rachel Gould, Barry Harris, Kate Baker e altri. Nel 1996 partecipa ad un seminario con Sheila Jordan e vince una borsa di studio per seguire a New York i corsi della Manhattan School of Music. Nel 1997 si trasferisce negli Stati Uniti e vi resta per quasi quattro anni, facendo la gavetta nei club di New York. Ha cantato: nel “Ronald Westray Ensemble” diretto dal trombonista di Wynton Marsalis, nella “Jason Lindner Big Band” che annovera personaggi del calibro di Mark Turner, Antonio Hart e Greg Tardy e in diverse altre piccole formazioni. Francesca è artista versatile capace di creare un tutt’uno fra sperimentazioni vocali, improvvisazioni bebop e interpretazioni di standards americani, ma si evidenzia soprattutto per la grande capacità d’improvvisazione che fa di lei una delle più importanti cantanti scat italiane. Negli ultimi anni ha lavorato con diversi musicisti italiani tra i quali Fabrizio Bosso, Marcello Tonolo, Robert Bonisolo, Ares Tavolazzi, Massimo Manzi e molti altri. Molto intensa anche l’attività concertistica all’estero con esibizioni in: Austria,Polonia, Francia, Lituania, Lettonia, Belgio, etc… Tra i progetti discografici più rilevanti è da segnalare il cd “Silver Friends”, omaggio alla musica di Horace Silver, con Ettore Martin al sax, Alberto Marsico all’Hammond ed Enzo Carpentieri alla batteria; “The Grace of Gryce“ con Ettore Martin al sax, Kyle Gregory alla tromba, Beppe Pilotto al contrabbasso e Marco Carlesso alla batteria; “The Teaneck session “ con George Cables al pianoforte e Steve Williams alla batteria e “Monk’s Midnight“ con Ilona Damietzka al pianoforte, Pawel Urowski al contrabbasso e Eric Allen alla batteria. Oltre all’attività concertistica insegna canto jazz in diversi conservatori di musica.

Beppe Pilotto, contrabbasso

Inizia lo studio del basso elettrico da autodidatta nel 1986 e successivamente del contrabbasso presso la scuola “Gillespie” di Bassano del Grappa sotto la guida di Giko Pavan ed in seguito con Cameron Brown e Andy McKee. Ha suonato con varie formazioni in Italia, Francia, Austria, Germania, Slovacchia, Giappone, Lettonia, in clubs, teatri e Festival; ha collaborato con vari musicisti tra i quali: Robert Bonisolo, Danilo Memoli, Michael Loesch, Glauco Masetti, Paolo Tomelleri, Sandro Gibellini ,Massimo Chiarella, Enzo Scoppa, Gianni Cazzola e altri. Ha partecipato a vari Festival e rassegne: Etna Jazz, Festa della Musica (a Parigi), Fiemme Ski Jazz, Kemptener Jazz- Fruhling, Eurommet Jazz Festival,“Marostica Jazz e altri. Ha inciso una decina di CD tra i quali: “New Thing Quartet” (2000), “Connection” Helga Plankensteiner Walter Civettini quintet (03), “Rythme Futur” con il gruppo Alma Swing (05) vincitore del concorso Porche Live Giovani e Jazz 2004. 

Enzo Carpentieri, batteria

Un musicista eclettico che integra gli elementi più tradizionali della musica afroamericana con quelli più moderni: dall’hardbop al freejazz, dal mainstream all’avanguardia, il batterista Enzo Carpentieri si trova proprio agio con le più disparate musiche riuscendo ad esprimersi con successo in diversi contesti stilistici. Attivo soprattutto in ambito jazz, ha suonato con Massimo Urbani e Sal Nistico, ha inciso con Franco Cerri e Gianni Basso e nell’area creativa della scena moderna con Greg Burk, John Tchicai, Rob Mazurek. Ha suonato in diversi paesi europei e in Cina, Asia, Indonesia, Australia, Jakarta, Vancouver, Melbourne, Buenos Aires, Honk Kong, New York. 

Gianluca Carollo, tromba e flicorno

Nel 1987 si diploma in tromba presso il Conservatorio di Vicenza sotto la guida del M° Bonomo. Successivamente si specializza con: E. Soana, M. Applebaun, G. Parodi, C. Roditi e C. Tolliver. Nel 1993 si diploma in strumenti a percussione al Conservatorio di Vicenza con il M° Facchin, con il massimo dei voti e la lode. Nel 2000 e 2001 partecipa ai workshops estivi della New School di New York organizzati da Veneto Jazz. Vanta numerosissime collaborazioni nell’ambito della musica classica (orchestra sinfonica di Sanremo, orchestra della Fenice di Venezia, vincitore del 1° premio assoluto al concorso internazionale per percussionisti “Cotogni” a Rovigo etc…) e della musica leggera (lavora per U. Smaila, Vittorio Matteucci, si esibisce in diverse trasmissioni televisive come: ”Buona Domenica”, ”Super classifica Show” etc.., è trombettista nella big band guidata da P. Belli, lavora come side man in più di 50 cd registrando per le etichette: SONY, BMG, etc…). Con il passare degli anni però si avvicina sempre di più alla musica jazz, la sua vera passione. Sono numerose le collaborazioni anche in quest’ambito in prevalenza come trombettista e in qualche occasione anche come vibrafonista. Si è esibito in svariati festival in Italia collaborando con diversi musicisti tra i quali: Carla Bley, Maria Schneider, Steve Swallow, Kenny Wheeler, Tom Harrell, Billy Cobham, Aldo Romano, Mainard Ferguson, Claudio Roditi, Ernie Watts, Enrico Rava, Robert Bonisolo e altri.

“Jazz Lights” Francesca Bertazzo Hart Quartet

Dove: CremArena, Piazzetta Winifred Terni de Gregorj, 3, Crema (CR)

Quando: Mercoledì 7 luglio, ore 21.

Francesca Bertazzo: chitarra-voce

Gianluca Carollo: tromba-flicorno

Beppe Pilotto: contrabbasso

Enzo Carpentieri: batteria

Foto in evidenza di Dan Codazzi

Un mondo di improvvisazione

Un mondo di improvvisazione

Il termine “improvvisazione” potrebbe dare adito a diverse interpretazioni. In genere l’accezione comune del termine ci fa pensare ad una vera e propria creazione senza alcun fondamento e nessuna regola. Di fatto la vera “Improvvisazione” in campo artistico (non solo in quello musicale) consiste nel mettere insieme le norme naturali che regolano l’Arte in maniera creativa ed in taluni casi originale. Tutto ciò può avvenire o per mera casualità, o per assoluto talento dell’artista, o grazie alla profonda conoscenza dell’artista stesso circa la disciplina da lui praticata.

In campo musicale l’Improvvisazione è il vero sinonimo della composizione. Prescindendo dalla forme compositive di un brano (sonata, fuga, suite, canzone in genere, concerto, ecc.), in termini assolutamente sostanziali, la composizione di una melodia attiene alla sfera del gusto musicale proprio dell’artista che a sua volta si affida anche alla scientificità delle regole armoniche e compositive già, da sempre, presenti in natura.

Questo significa che in musica non si inventa nulla, bensì si scopre. Ed è proprio in virtù di questo principio che la musica nei tempi si è evoluta. Nessuno hai mai inventato, ma tanti hanno scoperto.

Come tutte quelle materie che appartengono alla sfera del razionale, l’armonia e la composizione possono diventare tuttavia Arte solo se si riesce ad interagire filosoficamente, speculativamente con loro, laddove ogni spostamento, ogni relazione, nonostante rigorosamente matematica e razionale, diventa “invenzione” non inventata…. diventa Arte.

Quest’azione di tipo speculativo ed empirico al tempo stesso, ha prodotto un enorme repertorio musicale ancora oggi suonato che, attraverso la sua analisi, ha permesso negli ultimi 100 anni di comprendere le regole principali che governano la musica e pertanto la composizione.

Un momento di improvvisazione: Johnny O’Neal e Giovanni Mazzarino (piano), Luke Sellick (contrabbasso) e Charles Goold (batteria)
(Ph. Paolo Galletta)

Anche se in passato l’improvvisazione è stata materia praticata dai “musicisti geni” dell’epoca (Mozart, Bach, Chopin, ecc.), in  quanto loro, prima di altri, in maniera estemporanea, avevano ben compreso il rapporto tra melodia ed armonia, la “prassi artistica di tipo compositivo”, tuttavia , era quella  di scrivere il tutto su pentagramma al fine di tramandare ai posteri la loro eccellente attività musicale – compositiva. Ma i grandi musicisti del passato conoscevano le regole della composizione anche se forse non le avevano mai studiate; ed è proprio in considerazione dell’analisi musicale delle loro opere che si sono create le “regole”. Regole, semplicemente scoperte e sperimentate, ma già esistenti in natura.

Sulla base di queste considerazioni, all’inizio del XX° secolo, vista anche la grande possibilità di comunicazione intellettuale ed artistica tra le popolazioni del mondo (sicuramente maggiore rispetto a quella del passato),  si è ritenuto proporre un nuovo modo di fare e comporre musica. Di fatto di nuovo non c’era nulla. Ma sicuramente si vuole da adesso in poi dare maggiore importanza alla figura del compositore in luogo di quella dell’esecutore. L’esecutore (strumentista) doveva solo eseguire la grande musica, scritta da altrettanti grandi musicisti; questo risultava  non essere più sufficiente per essere “denominato musicista”. Il compositore (il musicista, non solo lo strumentista) doveva d’ora innanzi scoprire nuove regole, speculando ed approfondendo lo studio delle opere dei grandi musicisti del passato e pertanto “inventando” nuovi linguaggi ed estetiche che hanno prodotto la cosiddetta  estemporaneità compositiva (improvvisazione). Questo significava che, vista la profonda ed acquisita qualità conoscitiva della musica e delle sue regole, non ci sarebbe stato più bisogno di scrivere in maniera dettagliata su pentagramma, ad esempio, la parte armonica (la mano sinistra del pianista per intenderci), bastava da adesso in poi scrivere semplici sigle per comunicare l’armonia di una composizione. La melodia rimaneva identica: elemento discriminante e determinante di una composizione.  In realtà lo era anche prima, ma da adesso in poi il tutto avrebbe assunto una modalità relativa alle conoscenze musicali, più o meno profonde, dell’esecutore – musicista. Da quel momento in poi una composizione suonata da un strumentista o da un altro, sarebbe stata uguale per quanto concerne la melodia, ma profondamente diversa da un punto di vista armonico. Ecco che l’esecutore – strumentista, lascia sempre più spazio al musicista – compositore.

La grande possibilità di gestione armonica di un brano permise anche  il cambiamento della melodia stessa, sia pure in minima parte. Questo avveniva in considerazione dell’estro e della creatività del musicista che automaticamente interagiva con il compositore originale, creando nuove melodie e legami armonici, derivanti dalle diverse soluzioni armoniche  adottate. Tutto ciò avveniva sempre più spesso, quasi come gioco, in via del tutto estemporanea. Il  nuovo musicista – esecutore e compositore, improvvisa soluzioni armoniche differenti, cambiando o mantenendo la melodia originale, sulla base di regole ferree che i grandi compositori del passato adottavano, ma che gli stessi per esigenza comunicativa della loro poetica artistica, erano costretti a scegliere una e sola  soluzione di tipo melodica – armonica  che andava fissata su di un pentagramma, non in quanto l’unica possibile, ma in quanto maggiormente esteticamente congeniale, in quel momento, a loro stessi.

Mozart è stato l’esempio vivente del musicista – esecutore – compositore. Pertanto in tempi non sospetti, l’improvvisazione intesa come possibilità di cambiamento della melodia e dell’armonia in maniera estemporanea, intesa quindi come valida alternativa alla composizione tradizionale ma non diversa da essa, era già praticata. Sulla base di queste considerazioni, il compositore è un “improvvisatore al rallentatore”. Entrambi utilizzano le regole armoniche che governano la musica, l’uno “a tavolino”, l’altro direttamente “in concerto”.

Lo studio dell’improvvisazione è quindi lo studio della composizione intesa non già in relazione alla semplice o complessa “forma” compositiva, ma come costruzione di melodie sulla base di una progressione data di accordi. Questa materia pertanto si occuperà di come una o più note possano essere compatibili con gli accordi, quali note saranno le più efficaci, la loro disposizione  ritmica.

Questo meccanismo può essere applicato a tutta la musica, in quanto quest’ultima è una e sola, governata dalle medesime leggi. È evidente che le varie estetiche musicali pretenderanno linguaggi improvvisativi diversi tra loro, ma sempre fondati su i medesimi principi armonici, applicati e congegnati in maniera ritmica diversa.

Let’s Start From Here, il sorprendente punto di partenza di Paolo Corsini

Let’s Start From Here, il sorprendente punto di partenza di Paolo Corsini

È uscito recentemente per Jazzy Records, accompagnato da un evocativo videoclip ambientato fra stazioni e aeroporti e realizzato dalla stessa etichetta, l’album del pianista e compositore veneto Paolo Corsini dal titolo “Let’s Start From Here”. “Cominciamo da qui”  non è solo una affermazione, ma quasi un monito ad indicare il costante divenire della musica e della vita.  Compagni di viaggio di Corsini sono il contrabbassista Alessandro Turchet e Luca Colussi, ritmica che brilla per intensità e leggerezza, a proprio agio con il senso delle estetiche Jazz tradizionali, ma guidata da un’ispirazione assolutamente contemporanea. Alessandro Turchet è quasi un alter ego del leader in ambito musicale, un musicista con cui ha condiviso e affinato il percorso di crescita e che in Let’s Start From Here sfocia in una apprezzabilissima sintesi.

Con Luca Colussi ed il suo stile raffinato e viscerale il cerchio si chiude: tre voci distinte che si intrecciano in una unica intenzione corale. La collaborazione come trio si consolida ufficialmente nel 2016, praticando molto la musica di Bill Evans e con la costruzione di un repertorio originale.  Nel 2020 dalla stessa sessione di registrazione vengono alla luce “Segni” a nome e con musica originale di Luca Colussi e “Let’s Start From Here”. Le composizioni contenutene disco sono state scritte in un periodo che va dalla fine degli anni ’90 ad oggi e vi si trovano tutti i rimandi a diverse estetiche delle quali il leader porta la forte influenza e con le quali si è consolidato il sue stile. Comuni’Arti ha incontrato Paolo per approfondire alcuni aspetti di questo lavoro davvero interessante.

Let’s Start From Here evoca un punto di partenza, ma tu non sei un musicista esordiente nel vero senso della parola. Parlaci delle esperienze che più ti hanno formato e che hanno contribuito alla nascita di questo tuo nuovo e interessantissimo lavoro.

L’esperienza più importante è stata avere delle persone intorno a me che mi hanno fatto diventare un musicista. A cominciare da Bruno Cesselli il mio mentore e grande amico che mi ha trasmesso l’amore incondizionato per la musica e poi tutto il circondario di musicisti ed artisti con il quale sono cresciuto e con i quali ho avuto la fortuna di lavorare.

Con Federico Missio ed io ancora “acerbo”, abbiamo condiviso nel 2007 una interessante esperienza discografica nella quale era presente anche Massimo Manzi. Si è creata una bella amicizia che dura tutt’ora tra me e Federico e che ogni tanto ci fa incontrare nuovamente, com’ è successo nel 2014 con l’organico allargato della “Scimmia Nuda” a Udine.

Ho avuto la possibilità di suonare stabilmente per un paio di anni nella Abbey Town Jazz Orchestra, diretta da Kyle Gregory, ho potuto saggiare l’aspetto da musicista “gregario” in un contesto di big band, altamente edificante.

Con Gandhi (Umberto Trombetta) ed i “Fearless Five” esplorammo il mondo della musica di Miles Davis “elettrico” e Joe Zawinul, devo dire in maniera entusiasmante.

Poi ho finalmente incontrato Anna Maria Dalla Valle, grazie a lei ho sviluppato come non avrei mai pensato la mia percezione artistica.

Abbiamo inciso in duo nel 2012 ed è stata un esperienza dalla quale ho imparato moltissime cose riguardo all’interazione, ed al dialogo con un altro musicista.

Arrivò poi il frangente con “Astral Travel” insieme a Tommaso Cappellato, un viaggio nel cosiddetto “spiritual jazz”, anche qui un lavoro in dimensioni molto ampie e più contemporanee.

Infine sempre insieme ad Anna Maria abbiamo sviluppato una nostra passione comune per l’ambito elettronico della drum ’n bass e dei frangenti elettronici inerenti.

Insieme a Dj Enjoy formammo questo trio ibrido “Squirrel Beats” nel quale mescoliamo gli strumenti con l’elettronica pura. In seguito la formazione è divenuta un quartetto solo strumentale con l’adozione però di un linguaggio che può essere più proprio delle “macchine” elettroniche.

Tutte queste esperienze hanno tracciato una via lungo la quale mi sono calato in stili molto differenti tra loro, dal carattere più acustico del solo pianoforte per poi abbracciare pienamente anche tutti i suoi “fratelli” elettrici, come il Rhodes ed i Synth. Sono molto appassionato dalla produzione in questo ambito, ed allo stesso modo dalla dimensione più acustica.

Alessandro Turchet e Luca Colussi, i membri del tuo trio, sono considerati “giovani jazzisti”, ma in realtà già da tempo inseriti nella scena italiana e mitteleuropea; sono artisti preparati, di grande sensibilità e legati a te anche da una grande amicizia. Che cosa apprezzi maggiormente nel loro modo di suonare, qual è il vero apporto che hanno dato alla tua musica?

Quello che apprezzo in Alessandro e Luca è il loro modo di suonare sincero, appassionato, viscerale e per niente artefatto. Hanno una visione artistica molto ben chiara che non lascia spazio ad inutili chiacchiere ed a autoreferenzialità.

Lavorare al repertorio del disco con loro è stato un processo produttivo, non si sono mai comportati da cosiddetti “sideman” facendo ciò che gli veniva richiesto, anche perché non è mai stata mia intenzione farlo. Abbiamo cercato di “indossare” ogni brano e chiunque dei tre ha suggerito modifiche o cambi di direzione qualora ne avvertisse la necessità. Diciamo che non si sono limitati ad eseguire una partitura data loro ma vi ci sono addentrati per renderla propria, così come farebbe un artista degno di questo nome. Ho una stima smisurata nei loro confronti e li ringrazio di cuore per il risultato ottenuto in questa incisione.

L’album è pervaso da un’estetica musicale dalla forte connotazione europea, con influenze ritmiche variegate che afferiscono anche ad esperienze più contemporanee e non strettamente Jazz. I brani, pur strutturati, non sembrano caratterizzati da arrangiamenti particolarmente “scritti”: avevi in mente questo tipo di sound quando sei entrato in studio, o è stato il frutto del “momento creativo” che si è sviluppato insieme ai tuoi compagni in sala d’incisione?

A dire la verità tutto il corpus dei brani è accuratamente intriso di scrittura ed arrangiamento, però la volontà è stata quella di non rendere questa caratteristica così evidente e men che meno pesante all’ascolto. Questo risultato è risultato possibile grazie al modo in cui tutti e tre abbiamo digerito ed interpretato il materiale, in modo da utilizzare estemporaneamente gli elementi presenti in una composizione non come dei percorsi rigidamente prestabiliti ma come dei tracciati sui quali potersi muovere il più liberamente possibile.

La Jazzy Records ha realizzato un videoclip particolare per il brano “By The Way”, che evoca scenari metropolitani, viaggi,  emozioni di “transfer” fisico ed emotivo, incontri e sentimenti in transito. Anche la tua scrittura è molto cinematografica. Il cinema è una tua passione? Quali sono i tuoi interessi oltre alla musica?

La cosa che più mi affascina è la dimensione immaginifica che nel cinema è tecnicamente effettiva mentre nella musica viene evocata dai suoni.

L’ascolto della musica mi porta sempre in una dimensione quasi cinematografica nella quale si susseguono scenari, sensazioni ed emozioni. Si il cinema mi appassiona, soprattutto se capitano delle pellicole che oltre a raccontare una storia tendono a portarmi ad una riflessione o all’esplorazione ed alla scoperta di ambiti intriganti. Anche tutto l’ambito documentaristico mi appassiona, soprattutto se incentrato sulla storia contemporanea e sulla scienza.

In ambito scientifico sono estremamente attratto dalle teorie rivoluzionarie dell’ultimo secolo come la meccanica quantistica. Oltre a questo una mia grandissima passione è la speleologia, amo le grotte e tutto quello che le circonda, il contesto ambientale, l’attività, l’esplorazione, è un mondo parallelo bellissimo e sconvolgente.

Ammetto che la speleologia mi ha fatto crescere dal punto di vista umano e filosofico.

Nel gennaio scorso la rivista Musica Jazz ha, come da tradizione, pubblicato i risultati del Top Jazz 2020. Che cosa pensi in generale delle scelte operate dai critici che hanno votato? Secondo te offrono un panorama “corretto” del “meglio” che il Jazz italiano offre oggi? 

Ammetto che non seguo in maniera ossessiva i risultati della classifica top jazz, mi incuriosiscono sicuramente ma non gli do un grosso peso, non per arroganza di certo, penso che riguardino solo una parte di ciò che succede nel nostro paese e che ci sia un grossissimo sommerso di artisti che per un motivo o per l’altro non arrivano alle nostre orecchie.

È anche vero che la classifica viene redatta da un corpus di critici che di sicuro hanno dei gusti e delle preferenze, mi piacerebbe tanto che la valutazione fosse estesa in qualche modo anche al reale pubblico degli ascoltatori del Jazz.

Indubbiamente gli artisti che compaiono nella classifica Top Jazz sono dei musicisti di calibro estremamente elevato, penso comunque che il panorama del Jazz italiano offra molto di più di quanto vi sia redatto, ed essendo già estremamente di valore quello che vi compare non oso immaginare quanti altri meravigliosi artisti siano presenti sul suolo nazionale.

Cosa pensi dell’idea del Ministro della Cultura Franceschini di creare una sorta di “Netflix “ della cultura? Dove ci sta portando questa pandemia dal punto di vista dello spettacolo e del rapporto del pubblico con lo spettacolo dal vivo? Hai avuto esperienze concertistiche in streaming senza pubblico e se sì, quali emozioni e sensazioni hai vissuto?

Per quanto il nostro Paese sia straordinario dal punto di vista della percezione della cultura ci troviamo in un bel crepuscolo per tante motivazioni.

Sarebbe molto bello se diventasse invece un motore alla base della nostra società, così come dovrebbe essere a mio avviso. Solo il concetto di definire una “utilità” della cultura è sbagliato, perché vuol dire che dal punto di vista sociale vengono percepite delle altre necessità prima di questa e nella maggior parte dei casi provengono da logiche “produttive”.

Dovrebbe essere esattamente il contrario, la cultura e la conoscenza è il requisito base sul quale costruire tutto il resto, inclusa la concezione più materiale ed operativa.

Indipendentemente dalla mansione svolta da ogni esser umano la prima necessità dovrebbe essere quella di nutrirsi ed arricchirsi di conoscenza, così da diventare una vera e propria persona intraprendendo il proprio percorso.

Non conosco dettagliatamente l’iniziativa di Franceschini, ammetto che sicuramente è interessante dal punto di vista divulgativo ma non ho la certezza che possa diventare un canale realmente trasparente nel quale vi sia spazio adeguato a tutte le innumerevoli realtà presenti nel nostro paese.

Soffriamo per altro di una mentalità estremamente provinciale e dedita al clientelismo, sarebbe bello se un mezzo del genere ne fosse esente, ma da quanto è radicata temo sia impossibile.

Questa pandemia ci sta sufficientemente demolendo dal punto di vista sociale e psicologico. È lodevole ricorrere allo streaming o alla “somministrazione a distanza” di concerti o eventi artistici, questo però è solo un succedaneo e non può restituire quella che è una esperienza dal vivo.

C’è bisogno di avere un rapporto tra l’artista ed il pubblico, non può essere altrimenti, un musicista non esiste se non c’è qualcuno che lo ascolta però questo non può ridursi ad un ascolto sterile da un dispositivo, c’è la necessità di interagire con le altre persone, siamo fatti di questo.

Quest’anno ho avuto una esperienza durante la quale ho suonato con un pubblico risicato mentre veniva trasmesso il concerto in streaming, ammetto che la mia attenzione andava alle persone presenti, non per mancanza di rispetto ma perché ne avvertivo l’effettiva presenza e l’interazione, quello che ho suonato e come è dipeso da chi c’era ad ascoltarmi.

Oltre all’insegnamento, a cui ti dedichi da anni, a quali progetti stai lavorando?

Attualmente sto lavorando a “Squirrel Beats” come già menzionato prima, diciamo che è un progetto ambizioso ma estremamente gustoso per me.

È un cross over in termini di linguaggio, la volontà ambiziosa è quella di coniugare nello stile e nelle forme contemporanee quelle più strettamente jazzistiche.

È una situazione che potrebbe avere un respiro molto ampio anche a livello internazionale, sto lavorando nella ricerca dei giusti canali di promozione.

Sempre in questo ambito mi sto interessando alla produzione in proprio, cosa che ho sempre fatto per piacere personale ma che vorrei portare ad un livello professionale.

Il CD di Paolo Corsini è disponibile su www.jazzy-records.com